Alto Tirreno :: Mareggiata di capodanno 2010: cronaca di un disastro annunciato.
ALTO TIRRENO :: 03/01/2010 :: Ci sono riti e usanze che si ripetono con straordinaria precisione e assiduità, che superano crisi economiche, cambiamento dei costumi e quant’altro. Il capodanno è uno di quei riti che non conosce vecchiaia, che non sa cosa voglia dire crisi, che infonde speranza e promette cambiamenti per l’anno che sta per iniziare.
Per rimanere, poi, nel campo dei riti, come ogni anno, anche quest’anno, si è presentata l’annuale mareggiata, importante per durata e altezza d’onda, ma assolutamente in linea con quelle che ogni inverno e magari più di una volta, flagellano le nostre coste. La televisione e soprattutto il tam tam di foto e notizie su Facebook ci mostrano di spiagge scomparse, di pontili sormontati dalle onde, di approdi smantellati, di scantinati e magazzini allagati e, cosa molto triste, di lungomari semi-distrutti. Interventi dei vigili del fuoco, ragazze, ragazzi, uomini e donne disperati per aver perso gran parte di quanto avevano, attività commerciali e imprenditoriali messe in ginocchio, scene di straordinaria crisi ordinaria. Scusate il gioco di parole ma è l’unico modo che ho trovato per esprimere un concetto tipico della nostra terra: bella, bellissima per dono divino ma orripilante nelle manifestazioni umane. Gli eventi naturali che si susseguono sono assolutamente normali, proprio perché naturali, ma si configurano come disastri quando l’impatto sulle opere di origine antropica provoca danni sostanziali e/o perdita di vite umane. E’ lecito, secondo me, porsi questa domanda: sbaglia la natura nel provocare questi eventi, è cattivo il nostro Dio a consentire queste cose, oppure siamo noi uomini che dovremmo essere più attenti a progettare, realizzare e, infine, eseguire una corretta manutenzione sulle opere?
Se vengono realizzate cantine e magazzini al livello del mare, non è “naturale” che in occasione di mareggiate l’acqua tenda a rigurgitare e, quindi, allagare questi spazi?
Se si realizzano approdi per natanti utilizzando massi di dimensioni non opportune, è così strano che vengano abbattuti?
Se, infine, si impedisce alla sabbia di defluire dai fiumi verso il mare, non è inevitabile che, le spiagge, composte da sabbia, scompaiano e, di conseguenza, le opere che fino a 15 anni fa erano in sicurezza dalle mareggiate, grazie alla presenza di decine di metri di sabbia, oggi si trovano in grave pericolo?
I cambiamenti climatici, l’innalzamento del livello del mare non hanno influenza se non nel lungo periodo. Qui si parla di accadimenti repentini, che si sviluppano nell’arco di qualche stagione.
Vorrei soffermarmi proprio sul problema dell’erosione della spiaggia, argomento che in svariati modi viene tratt
ato ma non sempre in modo “rigoroso”, nell’accezione scientifica del termine.
L’erosione della spiaggia si configura come la progressiva perdita di ingenti volumi di materiale per effetto del moto ondoso e delle correnti indotte.
Quando, infatti, le onde si abbattono sui litorali determinano un notevole movimento di sedimenti che, normalmente, vengono trasportati in parte lungo il litorale e in parte a largo ma, la presenza dei corsi d’acqua, dovrebbe consentire di rimpiazzare il materiale perduto e, anzi, permettere una accumulo, determinando l’accrescimento della spiaggia. Se viene a mancare tutto o parte di questa massa di sedimenti fluviali, ecco che il trasporto marino non viene rimpiazzato da quello fluviale e, inevitabilmente, si innescano problemi di erosione costiera. Da questa considerazione è immediato desumere che uno dei principali motivi che provocano l’erosione costiera sia proprio la riduzione dell’apporto fluviale dei sedimenti. Due sono le cause principali: la riduzione delle portate liquide e la riduzione delle portate solide.
La riduzione delle portate liquide riguarda soprattutto il caso delle portate di magra, per quanto riguarda, invece, gli eventi di piena non sembrano esserci stati grandi riduzioni, tranne che per quei fiumi in cui sono state costruite grandi dighe. Il problema fondamentale, quindi, è proprio la riduzione dell’apporto solido causato dalla riduzione del materiale disponibile e della capacità di trasporto solido dei fiumi.
Due, quindi, sono le principali cause: i prelievi di inerti dai fiumi e l’eccessivo numero di opere idrauliche in alveo, come le briglie, che riducendo la pendenza effettiva del corso d’acqua riducono anche la capacità di trasportare a valle i sedimenti.
L’intervento indiscriminato sui fiumi, quindi, sta depauperando le spiagge della naturale ricarica e sta mettendo a rischio di distruzione tutto il costruito dei precedenti 30 anni.
Ogni anno milioni di euro vengono spesi per costruire opere a mare, sventrare montagne con la dinamite e delle ruspe, milioni di tonnellate di massi trasportate con i camion dai monti sul mare. Ma quanto e a chi serve tutto questo?
Le opere a mare costituite dai grandi massi sono utili, servono per ridurre l’incidenza del moto ondoso sulla costa ma decenni di utilizzo hanno dimostrato che non possono essere risolutivi dei problemi. E ancora, a quanto ammonta il costo ambientale di tutto questo movimento di automezzi?
Sarebbe, forse, il caso di ripensare la difesa della costa in termini globali di bacini fluviali e unità fisiografiche marine.
Da tanti anni si discute di poter studiare metodi alternativi di difesa del litorale, di consentire una ripresa del trasporto solido fluviale e quant’altro. Quando tutto ciò diventerà norma tecnica? Quando si deciderà di abbandonare una vecchia concezione di sviluppo basato sulla quantità di materiale impiegato e si passerà ad una concezione legata al risparmio energetico in senso lato, concentrandosi sulla qualità del materiale?
Quando si capirà che per costruire un opera bisogna progettarla bene e per progettarla bene bisogna conoscere perfettamente lo stato di fatto? Quando le amministrazioni capiranno che non si può chiedere ai progettisti di completare un progetto in pochi giorni? Quando i progettisti capiranno che non si può conoscere e progettare tutto? Quando si capirà che bisogna fare monitoraggio e manutenzione alle opere?
La risposta è ancora ignota ma sono sicuro che quando arriverà quel tempo, si vedranno sempre meno disastri e un ambiente più vivibile.
Giuseppe Maradei