“Europa, ultima chiamata” di Enrico Esposito
di Enrico Esposito
Non c’è più tempo per l’Europa. E’ ormai all’ultima chiamata, per evitare l’autodissolvimento. Perdere altre occasioni sarebbe da irresponsabili. Questo a Bruxelles lo sanno, ma si continua con la solita vieta politica del rigore finanziario fine a se stesso. Rigore che, nella logica mercatistica, non s’è visto in ambiti ben più importanti, come nel caso dell’Ungheria, dove s’è concretizzato un atto gravissimo a dispetto di uno dei pilastri europei, che è quello della difesa della democrazia politica, presupposto irrinunciabile per qualsiasi altra decisione, sul piano economico e su quello sociale.
Oggi che L’Unione Europea si trova ad affrontare una crisi gravissima crisi dovuta alla pandemia da coronavirus, i cittadini europei sperano ancora che si adottino provvedimenti ispirati a solidarietà e condivisione di sacrifici inevitabili. Molti stati dell’Unione sono stati precipitati in situazioni drammatiche, ma pervicacemente si ricorre ai soliti strumenti rigoristi e discriminatori tra paesi ricchi e paesi in difficoltà. Le discussioni sul MES hanno dell’incredibile. E’ un fondo salva-stati si dice, ma il pensiero si concentra sempre sull’aspetto economico. In tal modo è giocoforza che riemergano egoismi nazionali e pretese egemoniche. Non è questo che gli europei si aspettano. Intanto si sta scherzando con il fuoco.
Già si fanno sentire in più di un paese voci antitedesche, antifrancesi e antiolandesi e questo è solo uno degli effetti perversi di misure sgradite e insufficienti. Se poi si aggiunge la ricorrente richiesta di abbandonare al suo destino l’Unione e ritornare ai vecchi staterelli nazionali, si è costretti a prendere atto che tale richiesta è oggi rinfocolata dalle scelte di questi ultimi giorni. E’ una situazione ormai incontrollabile. La domanda è se a Bruxelles si rendano conto che siamo sull’orlo del baratro e se non siano vittima di un cupio dissolvi incontenibile. D’altro canto da più parti si invoca il ritorno ai grandi ideali unitari.
Lodevole intenzione, ma che non tiene conto del fatto che già agli inizi, con la creazione della Ceca e poi del MEC, le aspirazioni ad un’Europa unita secondo il Manifesto di Ventotene erano stati messi da parte. Poi sono seguiti Maastricht e Lisbona, ma l’idea guida è stata sempre quella della prevalenza di economia e finanza soprattutto. Impossibile evitare così che non prevalgano interessi di parte: dove domina il denaro, l’unica cosa che conta è arraffarne sempre più senza cedere ad altri nemmeno gli spiccioli. Ma, e questo è ancora più angosciante, tornare ad Altiero Spinelli e Ernesto Rossi non basta. Il loro Manifesto è stato modellato sull’idea di evitare in primo luogo altre guerre europee.
Del resto è stato scritto nel 1941, ma conteneva anche indicazioni sempre valide sul piano sociale prima ed economico dopo, ispirate all’uguaglianza e alla giustizia sociale. Oggi però non si tratta di recuperare il tempo perduto. C’è invece bisogno di una nuova, inedita Europa. Non sarà facile azzerare decenni di politica europea che abbiamo già infelicemente sperimentato e subito. Ma il lavoro che attende gli europei oggi è quello di dotarsi di una visione preferibilmente federalista, al posto della giustapposizione fra governi nazionali rivelatasi fallimentare. Ma ritornare agli stati nazionali sarebbe un rimedio ancora peggiore.
L’Europa dei popoli per molti è un sogno irrealizzabile, ma quello che si legge sulla stampa europea proprio in queste ore induce a pensare il contrario. Se Die Welt pubblica articoli proditori contro l’Italia, Der Spiegel si pronuncia a favore degli italiani, se la Merkel, purtroppo spalleggiata dai socialisti, assume le posizioni che ci sono tristemente note, la leader dei Verdi tedeschi è su tutt’altra lunghezza d’onda. L’errore che va evitato è soprattutto quello di identificare i governi con i popoli.