“Razza maledetta” di Enrico Esposito
di Enrico Esposito
La razza maledetta è quella meridionale. Maledetta, perché inferiore. Il concetto, senza alcun fondamento, gratuito e offensivo, risale a tanto tempo fa. Attribuirlo al giornalista dalla mente annebbiata e dal volto avvinazzato che se n’è impadronito qualche sera fa in un talk show sarebbe riconoscergli conoscenze e studi approfonditi. Il pregiudizio nasce su un terreno proprio, amorfo e disarticolato.
Non c’è bisogno di studiare e approfondire per offendere e aggredire in modi così belluini. E invece un fondo culturale c’è. Vito Teti, dell’Università della Calabria, è risalito alle origini del pregiudizio antimeridionale e su questo tema ha pubblicato nel 1993 un libro intitolato appunto La razza maledetta. Un tema che ha chiamato ad intervenire storici, antropologi, medici e psicologi. La teoria dell’inferiorità del Meridione si diffonde alla fine dell’Ottocento e non è ancora scomparsa, purtroppo. E’ una teoria a sfondo razziale, non c’è dubbio, e chi se ne vuole servire, informandosi, troverebbe a disposizione innumerevoli pubblicazioni sul tema. Ma il giornalista di cui si fatica a fare il nome non ha bisogno di informarsi, gli basta leggere tutt’al più il titolo di un capitolo e si sente abilitato a parlare a vanvera di quanto non conosce.
La teoria della razza maledetta viene elaborata all’inizio da Alfredo Niceforo, un siciliano (!) che si fa divulgatore degli studi di antropologia criminale di Cesare Lombroso di Verona. Si viene a trovare in Calabria come ufficiale medico durante la sanguinosa repressione del brigantaggio, vi rimane tre mesi e accumula materiali per costruire le sue teorie di chiara impostazione positivista. Va incontro a vivaci contestazioni, Lombroso, la più famosa quella di Napoleone Colaianni, di Castrogiovanni in provincia di Enna, che pubblica Per la razza maledetta nel 1898. La sua contestazione di Lombroso si poggia sul rifiuto del “romanzo antropologico” costruito per definire i termini della questione meridionale. Un romanzo antropologico che in effetti è un romanzo criminale, che all’epoca della sua diffusione trova non pochi consensi, non solo al Nord.
E’ il periodo in cui, per esempio, si dice che l’Italia si divide in nordici e sudici, che i meridionali hanno dei crani tali che denunciano la loro attitudine alla delinquenza e giù di lì con queste aberrazioni. Evidentemente è rimasto più di qualcosa che ogni tanto si utilizza nella mai sopita polemica nord-sud. Basta andare in uno stadio del nord dove si disputi una partita di calcio con squadre meridionali e se ne ha la prova. Ora non sarebbe neanche il caso di tornare sull’argomento dopo la provocazione del giornalista meneghino.
E invece è il caso di farlo. Perché le teorie razziali si radicano con una rapidità impressionante. Si diffondono come un virus, non meno dannoso del covid-19, in quanto raggiungono immediatamente lo scopo, quello di provocare una reazione uguale e contraria. Rispondere per le rime su questo terreno, serve a poco. Invocare la radiazione dall’albo professionale del giornalista, ancora meno, vista la inveterata abitudine pilatesca dell’Ordine. Ripescare Pitagora e la Magna Grecia, per ricordare agli annebbiati padani, che cosa era un tempo il sud, è ancora più lacerante: ricordare le glorie antiche si fa quando al presente di quelle glorie niente è rimasto.
Lo si diceva già ieri che si tenta, approfittando della pandemia, di minare l’unità italiana. E’ piuttosto il caso di resistere alla tentazione di restituire pan per focaccia, non fosse altro per non scendere al livello dell’invasato opinionista. Ignorarlo sarebbe la cosa migliore, da gentiluomini. Ma non basta. Si tratta di rispondere dal Mezzogiorno con dignità e fermezza sì, ma anche con scelte politiche che fino ad ora sono state funzionali alla perpetuazione di una spaccatura fra nord e sud che ha giovato solo al nord. Senza alcun senso di gratitudine, fra l’altro.