“Festa del lavoro in maschera” di Enrico Esposito
di Enrico Esposito
Una festa del lavoro con le mascherine, quest’anno. E’ la prima volta che accade da quando è stata istituita. In Italia si celebra fin dal 1890, ma un anno dopo la conquista del potere i fascisti l’aboliscono e la inglobano nella festa della fondazione di Roma. Solo dopo la caduta della dittatura il primo maggio ritorna ad essere il giorno della festa dei lavoro. Sarebbe meglio dire dei lavoratori, come volevano già che fosse all’Assemblea Costituente i partiti della sinistra.
Prevalse invece l’idea di celebrare la festa del primo maggio come festa del lavoro, in modo da comprendervi anche dirigenti, imprenditori e altro. Ma siamo già nel 1947 in Italia, mentre in altri paesi del mondo la festa dei lavoratori ci celebrava già. Stranamente, ma non tanto, solo negli USA non si festeggia il primo maggio, ma un Labor Day nel mese di settembre. Stranamente perché proprio negli Stati Uniti era scoppiato uno sciopero nel 1886 a Chicago il primo maggio appunto. E tre anni dopo a Parigi la Seconda Internazionale proclama il primo maggio festa dei lavoratori in ricordo delle sanguinose lotte americane, in cui persero la vita ben 11 operai.
Oggi siamo costretti a celebrarla con le mascherine e i guanti. I volti cotti dal sole e devastati dalle fatiche e le mani callose e anchilosate da anni di duro lavoro nei campi e nelle officine sono oggi protetti da mascherine chirurgiche, mentre il lavoro non si ferma ricorrendo al telelavoro e al lavoro a distanza, come impongono i decreti contro il coronavirus. E tuttavia non si può rinunciare a celebrare quella festa. Sarebbe allora il caso di far risuonare l’Internazionale, il celebre inno con il quale fra l’altro Arturo Toscanini sottolineò il suo rientro in Italia dall’esilio cui l’aveva costretto la dittatura fascista.
E ricordare magari che proprio il primo maggio del 1947 fu perpetrata la strage di lavoratori a Portella della Ginestra in Sicilia ad opera della banda armata di Salvatore Giuliano. La festa dei lavoratori ha ancora un senso se ritorna ad essere come era stata concepita. Un ritorno necessario, da quando sul lavoro dipendente si sono abbattute tante riforme, anche a firma di illustri giuslavoristi, che hanno finito per ridimensionare il ruolo insostituibile dei lavoratori nello stato e nella società.
Vero è che tale ruolo è stato indebolito dalla inarrestabile meccanizzazione prima e informatizzazione dopo, ma in ogni caso non va dimenticato che c’è sempre bisogno, e sempre ce ne sarà, di chi opera alla catena di montaggio o al computer. Insomma il lavoro un tempo solo manuale, oggi diventa sempre più specializzato. Ma se questo avviene con la riduzione delle tutele, delle coperture assicurative e della sicurezza la festa del lavoro rischia di diventare solo una data in rosso sul calendario.
Il primo maggio dovrebbe poi far ricordare le tante battaglie dei lavoratori, alcune vinte altre in attesa di vittoria. Nel 1886 in USA si protestava per la giornata lavorativa che in più di un caso arrivava a 16 ore, senza assicurazione e senza alcuna tutela, a cominciare dalla sicurezza. Oggi, sembra assurdo ma così è, le condizioni dei lavoratori sono sempre tali da far registrare innumerevoli morti sui posti di lavoro, per di più classificate come incidenti, mentre sono ben altro. E lo sappiamo tutti, ma preferiamo tacerlo.
Quando fu cantato per la prima volta l’inno dei lavoratori era chiaro che non solo di lavoro in termini tecnici si parlava, ma si additava il fine universale delle richieste di lavoro. “Noi non siam più nell’officine, nei campi, ai monti, al mar e la plebe all’opra sempre china, senza una fede in cui sperar. Su lottiam, l’ideale nostro alfine sarà, l’Internazionale futura umanità!” Appunto, quella futura umanità che tuttora sembra lontana. Allora, buon primo maggio a tutti, per un mondo diverso e migliore.