“Partenopeide, la storia di Napoli in versi” di Enrico Esposito
di Enrico Esposito
Una bella lettura in tempi di pandemia è quello che ci vuole per non dimenticare chi siamo e da dove veniamo, ma anche per rafforzare in ognuno di noi l’orgoglio di aver vissuto tempi migliori, con l’intramontabile fiducia in un loro ritorno. Con la speranza che la normalità tanto invocata non si manifesti ancora con pregiudizi e preclusioni verso, starei per dire contro, i meridionali. Si propone allora di leggere Partenopeide di Ulisse Loni, che canta in versi la storia di Napoli dalle origini fino alle prime fasi dell’unificazione nazionale. Non a caso abbiamo detto che l’autore canta le vicende della città di Partenope.
Ulisse Loni è un poeta autentico, che ricorda in quest’opera i grandi della poesia epica, da cui discende tanta parte della letteratura europea. Come Omero, Virgilio e Dante invoca la Musa in suo aiuto: Truvà famme tu, o Musa d’’a poesia/ ancora vierze nuove e cchiù ‘ntricante/ sì che pozza arreva’ st’opera mia/ a chi luntano sta, comme ‘migrante/ e c’ha lassato, pè quistione ‘e sorde/ a terra soja ‘ntra suspiri e chiante. Un incipit dalla sonorità piana e avvincente che Loni riesce a mantenere costante per tutti i 24 libri in endecasillabi. Ventiquattro libri come i due poemi omerici. Solo che qui non si cantano imprese eroiche, spesso sanguinose, ma i fatti di una città nata come proiezione di una splendida civiltà, quella grecoantica, ma che poi si rivelò capace di conquistare una sua peculiarità.
Sì, perché proprio dall’Eubea provenivano i coloni greci, quando conquistati dalla bellezza del golfo che sarà di Napoli qui si fermarono e qui fondarono Cuma. Quando questa città venne assalita dai fieri Sanniti, i profughi trovarono rifugio a Pizzofalcone. Su quella collina poi fondarono Neapolis, e cioè la città nuova, vicina ad un villaggio anch’esso di origine greca chiamato Palepolis, dove conobbero Partenope, una bellissima sirena. Così con il loro lavoro costruirono la città con palazzi e templi e si resero ben accetti. Prencipio è chisto ‘e ‘na nova rialta’/ ‘a nascita ‘e ‘n stella allumenosa/ ca sape ‘sempe a tante affattura’/ comm’a femmena cchiù bella e cianciosa. Dopo tale armonioso inizio il canto della città di Partenope prosegue libero e fluente per ben 25 secoli e il lettore viene accompagnato tra romani, bizantini, normanni, svevi, angioini, spagnoli e francesi fino alla caduta dei Borbone. Loni canta questa vicende con amore e partecipazione, senza dubbio, ma sine ira et studio, seguendo un’antica tradizione letteraria.
Una lettura edificante e suggestiva, opera di un poeta dotato di spiccato senso storico, edificato in robuste letture. Accanito lettore di letteratura antica, Ulisse Loni ha pubblicato anche Arret’a ‘na fenesta, Genesis, Il Vecchio Testamento e tante altre opere sempre in lingua napoletana, in cui non mancano pregevoli filastrocche. L’opera che forse meglio rivela la personalità di Loni è La Divina Commedia Napoletana. Non si tratta di una semplice traduzione del capolavoro dantesco, ma di una rilettura in chiave napoletana. Tanti i personaggi danteschi sostituiti da personaggi della storia di Napoli, da Carone che diventa Achille Lauro, dal maestro di color che sanno ricreato in Benedetto Croce e così via.
Un’interpretazione originale, che si avvale della solida capacità tecnica ed espressiva di un autore, che, come gli auctores di un tempo, si accosta con esiti felicissimi, a tutte le forme d’arte, prima fra tutte il teatro. Infatti ha fatto anche il regista e lavorato a sceneggiature di pregio. Non per nulla Loni è nato ad Acerra, il paese di Pulcinella. A testimonianza che, come già accaduto a Roma, la letteratura napoletana, fondata su una vera e propria lingua che sarebbe riduttivo chiamare dialetto, vive del contributo a volte determinante delle città e dei paesi del Meridione che hanno visto sempre in Napoli il punto di riferimento insostituibile.