“Silvia, salvata e offesa” di Enrico Esposito
di Enrico Esposito
Silvia Romano, salvata in Africa, insultata e offesa in Italia. Appena tornata dopo il rapimento, di cui ancora poco si sa, mentre era in missione volontaria, si è scatenato uno sconcio coro di offese e insulti, puntualmente sui social e non solo.
E alla volontaria recuperata sono stati associati il governo italiano e le associazioni del volontariato, con l’immancabile meschino corollario della domanda su quanto è costata la sua liberazione, su chi paga, sul perché per Silvia si è intervenuti e in altri casi no, perché il presidente del consiglio era a riceverla, mentre in altri casi non s’è visto, e si potrebbe continuare. Poche le voci in dissonanza da questa marea di odio inconsulto.
Che sia stata riportata nel suo paese e restituita alla famiglia una ragazza partita per un irrefrenabile bisogno di realizzarsi nella solidarietà a chi soffre guerre, malattie e fame senza fine passa in secondo piano. Si vuole invece sapere che riscatto è stato pagato, se è vero che si è sposata con un africano, se è tuttora incinta e perché lo Stato italiano ha pagato con i soldi di tutti per trarre in salvo una che s’è convertita all’Islam. Giornali a tiratura nazionale, ma di livello cortilesco, notiziano con sdegno che l’Italia ha salvato una musulmana. Conviene incominciare da qui: l’Italia ha salvata una sua cittadina. Se non l’avesse fatto si sarebbe macchiata di violazione della propria Costituzione.
L’art.3 infatti recita con grande chiarezza che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Ma anche se fosse stata salvata una musulmana e basta, dove sarebbe lo scandalo? Lo Stato ha il dovere di intervenire in casi come questo, e cioè di volontari che onorano l’Italia con il loro impegno a fianco di chi soffre dovunque nel mondo, e in questo non può e non deve fare distinzioni di nessun genere, secondo l’articolo citato della nostra Costituzione, ma anche secondo basilari principi di umanità.
Non si vuole pensare che se non si fosse convertita all’Islam sarebbe stata diversamente considerata, ma se questo sospetto ci fosse, allora sarebbe il caso di rimarcare che la Chiesa nessun commento ha fatto in proposito. Non per astenersi dal giudizio, ci si permette di credere, ma perché il libero arbitrio è nelle fondamenta del cattolicesimo. E non può essere invocato solo quando fa comodo. Qualcuno ricorderà il capitolo del grande inquisitore dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, dove il tema viene affrontato.
Certo, sia detto per inciso, è un tema del tutto assente nell’Islam, dove tutto è rapportato alla volontà di Allah e non si concepisce nemmeno la conversione se non come cedimento agli infedeli. Ma se un cattolico fa scelte diverse da quelle di partenza, non per questo è da condannare in qualsiasi modo, perché questa facoltà gli è stata riconosciuta come diritto. Ricondurre poi tutto ad una questione di soldi, è veramente improponibile. Chi mai potrà stabilire il prezzo giusto per salvare una vita umana? E’ questo l’effetto perverso della concezione liberista e capitalista che riduce tutto al profitto.
Per cui è uno spreco se si spende per salvare vite, mentre è un merito costruire capitali sullo sfruttamento, questo sì inumano, dei dipendenti e dei subordinati. Ma è tempo di chiudere questa nota, ricordando che quando si diceva che Dio è morto non si era tanto lontani dal vero. L’ha cantato Guccini con riferimento all’ignominia dei lager nazisti e spesso viene da chiedersi se Dio non muoia ogni giorno anche ad opera di chi dice di praticare la religione che a Dio si ispira, in quanto misericordia e perdono.