“Il ponte sullo Stretto innecessario” di Enrico Esposito
di Enrico Esposito
E si torna a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina. Sembra un appuntamento fisso con le tappe cruciali della storia calabrese. Si ricordano elezioni degli anni scorsi combattute tra Scilla e Cariddi sulla necessità irrinunciabile del Ponte sullo Stretto. Un’opera presentata come il toccasana di tutti i problemi calabrosiculi.
E’ stata creata anni addietro una società di capitali per il finanziamento della ciclonica impresa e tutto sembrava dovesse preludere all’inizio dei lavori. Poi non se n’è fatto nulla e siamo addirittura arrivati a formare governi che vantavano di aver posto la parola fine ad un’infrastruttura costosa e inutile, s’è detto. In questi giorni, nel momento più basso della cronaca politica in terra calabra, dopo che il consiglio regionale unanime ha deliberato vitalizi e aumenti d’indennità per se stesso, dopo che proteste esasperate e indignate sono partite dai cittadini, dopo che si è ricorsi all’annullamento della deliberazione del giorno prima, il ceto politico elettivo doveva pur inventarsi qualcosa, per far dimenticare questa insulsa vicenda.
E quale migliore risorsa propagandistica del Ponte sullo Stretto poteva mai esserci? Ed ecco che l’ineffabile presidente della giunta regionale tira fuori l’asso dalla manica o il coniglio dal cilindro, se si vuole. Parlare del Ponte fa sognare i calabresi e i siciliani, facendo credere che pioveranno milioni e milioni di euro, si creeranno innumerevoli posti di lavoro, si potrà passare lo stretto in pochi minuti, senza più le lunghe code per imbarcarsi sui traghetti e altre mirabilia del genere. Del resto è risaputo che i calabresi specialmente non si accontentano di operette, vogliono le grandi opere, quelle destinate a scandire la storia del mondo come il Colosso di Rodi o la Muraglia cinese. Loro, i calabresi, si ritengono eredi di Tommaso Campanella, che aveva addirittura in mente di fondare la Città del Sole, che cosa può mai essere un semplice ponte sospeso sul mare tra Reggio Calabria e Messina?
I calabresi hanno dato alla chiesa cattolica ben dieci pontefici, è bene non dimenticarlo. E pontefice questo significa, uno che costruisce ponti. Persino Giulio Cesare vantava di essere Pontifex Maximus, anche se poi è passato alla storia come un dittatore uguale a tanti altri. Insomma una bella manovra diversiva! Ci voleva in questi tempi tristi e colpevolmente spensierati, dopo la grande paura dell’estinzione per virus. Il Ponte è attraversato per ora da queste pulsioni di grandezza, in attesa di essere percorso da tir e bolidi velocissimi per collegare le due sponde dello Stretto. Vellicare tali pulsioni garantisce di certo visibilità politica e fa sperare in un abbondante raccolto elettorale. Ma non è azzardato prevedere che ben presto si ritornerà a riflettere sui vantaggi e sui costi di questo mastodonte.
Già nei secoli scorsi, quando l’intellighentia europea viaggiava in Italia per conoscere le antiche glorie classiche, i calabresi rimpiangevano che molti tra artisti e filosofi d’Europa, primo fra tutti Goethe, saltavano la Calabria e da Napoli arrivavano a Palermo direttamente via mare. La stessa cosa si potrebbe verificarsi con il Ponte: la Calabria continuerebbe ad essere terra di transito, percorsa solo per raggiungere punta Cannitello e poi veloci come non mai verso punta Faro. Oggi il sogno del Ponte è stimolato dalla forte domanda di velocità nei trasporti. Questa volta non sarà abbandonato tanto facilmente, anche perché può contare su un governo locale chiamato a dar prova di efficienza e di rapidità nelle decisioni, a dispetto della lentezza atavica dei calabresi. Questo accade in Calabria dove l’attesa, a volte senza speranza, tinge di colori indefinibili ogni giornata.