Aldo Moro: a 43 anni dalla morte, ancora troppe domande e poche risposte.
di Carla Sollazzo
Aldo Moro, dopo Alcide De Gasperi, fondatore della Democrazia cristiana, è certamente il personaggio politico più importante della storia repubblicana. Presidente del Consiglio dei ministri dal 1963 al 1968, poi presidente della Democrazia cristiana, il primo partito politico dal dopoguerra in poi.
Quando, il 16 marzo 1978, viene sequestrato da un commando delle Brigate rosse, Moro sta portando avanti un complesso programma di rinnovamento del quadro politico nazionale – mai avvenuto in trent’anni – che prevede l’ingresso del Partito comunista italiano nell’area di governo. Dopo le elezioni del 1975, infatti, il grande balzo in avanti del Partito comunista impone una scelta: quella di andare verso una collaborazione tra Dc e Pci. Aldo Moro è l’artefice di questo dialogo tra partiti; insieme a Enrico Berlinguer, allora Segretario del Partito comunista italiano, getta le basi per il compromesso storico. Ma siamo negli anni della guerra fredda, e il Pci costituisce un problema dal punto di vista dell’organizzazione del potere e degli equilibri nazionali e internazionali.
I due dissociati dalle Brigate rosse, Valerio Morucci e Adriana Faranda, racconteranno che i candidati al sequestro erano tre: Amintore Fanfani, allora presidente del Senato, Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio e Aldo Moro; quest’ultimo pare fosse più esposto rispetto agli altri perché non aveva l’auto blindata. Lo stesso Francesco Cossiga, ai tempi ministro dell’Interno, dichiarerà che sia lui che i Servizi Segreti, erano stati informati del fatto che stava per essere compiuta un’importante operazione ai danni di un esponente di vertice della Dc.
In un testo del 2014, “La nebulosa del caso Moro”, Maria Fida Moro, figlia di Aldo Moro, racconta che suo padre sarebbe dovuto morire già nella strage dell’Italicus, avvenuta il 4 agosto 1974: quel giorno, Aldo Moro sale su quel treno, ma un impegno istituzionale dell’ultimo momento lo porta a cambiare programma, costringendolo a scendere. Poche ore dopo, mentre il treno sta percorrendo la lunga galleria appenninica di San Benedetto Val di Sambro, una bomba ad alto potenziale esplode, provocando la strage che sarà rivendicata poi da Ordine nero. Da quel momento in poi, racconta la figlia, Moro si rende conto che i tempi per lui sono veramente difficili e impone la scorta anche a tutto il resto della famiglia.
Dal giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, il 9 maggio 1978, sono passati 43 anni, 6 inchieste e 23 sentenze; eppure, sul sequestro, la prigionia e l’uccisione del presidente della Dc, ancora i fatti non sono chiari. Le Brigate rosse hanno veramente agito da sole? Chi ha partecipato materialmente all’agguato di via Fani? Davvero Moro è stato tenuto prigioniero in via Montalcini? Che ruolo ha avuto il crimine organizzato? Perché la prigione non è stata trovata? Il sistema politico italiano ha avuto qualche compito nella gestione del rapimento? Quali forze internazionali hanno preso parte alla vicenda? Si è fatto davvero di tutto per liberare Aldo Moro?
La “nebulosa” di cui parla Maria Fida Moro, si infittisce ancora di più se analizziamo le dichiarazioni dell’ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, in occasione del 20° anniversario della morte di Aldo Moro: «Se noi abbiamo catturato e condannato gli esecutori del rapimento e dell’omicidio di Moro, io mi domando se non abbiamo preso soltanto i colonnelli e se ci sia qualche generale che l’abbia fatta franca».
Queste parole, pronunciate dall’allora capo dello Stato, in un luogo istituzionale, ci devono quantomeno far riflettere.