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“Giorno dopo giorno in tempo di Covid-19” di Enrico Esposito

di Enrico Esposito

La città aperta, il sogno dei giovani degli anni Settanta. Quando Popper pubblicò il celebre libro con questo titolo, aggiunse “e i suoi nemici”. Per decenni abbiamo pensato, e in qualche caso combattuto, i nemici della città aperta e li abbiamo individuati negli avversari del dialogo e del confronto. Non ci eravamo sbagliati e non lo diciamo per consolarci o autoassolverci, ma per prendere dolorosamente atto che i nemici del dialogo hanno oggi un potente e agguerrito alleato, il Covid-19, tristemente conosciuto come nuovo corona virus.

Dove non erano riuscite tirannie e dittature di tutto il mondo, riesce lui, il temibile morbo pandemico a farci chiudere città e paesi, a farci rintanare nei nostri recinti, per di più con l’amara certezza di essere noi stessi complice del nemico della città aperta, in quanto non riusciamo tutti a controllare la nostra innata vocazione di essere sociale. L’uomo è un animale politico, ci hanno insegnato da sempre, cioè vocato a vivere in società, quindi è un animale sociale. Di questa definizione rimane solo il primo termine, animale. Abbiamo pensato che vivere in società potesse significare vivere liberi, seguendo soltanto il nostro capriccio, contrabbandato con la coscienza civile e sociale. Abbiamo dimenticato che vivere liberi parte dal presupposto che gli antichi compendiavano nell’espressione “neminem laedere”, non far male a nessuno cioè.

E per non nuocere agli altri l’unica strada da seguire è quella delle leggi e delle regole che il vivere sociale richiede, specie nei momenti di grave pericolo. Alla fine i nemici della città aperta siamo noi stessi, che ci condanniamo a vivere da reclusi e isolati solo perché incapaci o riottosi ad osservare regole e norme a difesa della salute pubblica. Nei momenti come questi che stiamo vivendo, non importa chi è al governo dello stato come responsabile della convivenza civile.

Importa invece seguire le direttive che emana chi è deputato dalla volontà popolare a farle. Poi quando la tempesta sarà passata (quando?) riprenderemo il discorso della città aperta, non guardando solo alla nostra città o al nostro paesello, ma al mondo intero che, come dimostra proprio la terribile crisi che stiamo vivendo, non ha bisogno di frontiere, steccati e chiusure, ma di aperture all’altro, da qualsiasi parte provenga. Molto spesso, quelli che nella storia venivano temuti e considerati barbari, si sono poi rivelati la soluzione e non il problema.