fbpx

Intervista a Luigi Castellucci, giovane scrittore cosentino.

COSENZA :: 07/09/2024 :: Cosa c’entrano tra loro Harry Potter, Mozart e Robin Williams? Cosa confiderebbe un macellaio romano di nome Giulio al suo omonimo “storico” Giulio Cesare, se solo potesse parlargli? E ancora, quali sono le sensazioni che un ragazzo di diciassette anni ha sul mondo che lo circonda e a chi vorrebbe raccontarle?

Domande e risposte nella prima opera di Luigi Castellucci “Caro te, ti racconterò di quelli del fino alla fine”, edito da Bookabook.

Un epistolario che parla attraverso voci differenti, accomunate da una resilienza che le ha spinte a non mollare, fino alla fine. Una raccolta di lettere dal sapore antico e moderno, che ha l’obiettivo di offrire speranza a una società apatica, ma soprattutto di aprire una finestra tra due mondi spesso distanti, quello degli adulti e quello degli adolescenti.

Il giovane Castellucci è nato a Castrovillari il 17 agosto 2001. Il suo paese d’origine è San Sosti (Cs), ma vive a Bologna, dove prosegue la sua carriera accademica presso l’Alma Mater Studiorum conseguendo la laurea triennale in Filosofia con la tesi “Il secondo Wittgenstein: tra relativismo culturale ed universalismo”.

Qual è la necessità da cui è nata la tua condizione di scrittore?

È stata una terribile voglia di dover dir qualcosa: è stato questo che mi ha spinto a scrivere. Come se avessi un grande mare burrascoso nel petto che ha trovato la sua calma solo nel momento in cui è potuto sfociare su una spiaggia di carta. Il mare di emozioni è diventato poi una sinfonia di inchiostro che andava ad incastrarsi fra le righe del foglio. Dunque, una grande voglia di esistere, di far esistere il mio pensiero e di poterlo condividere con più persone possibili. Non è un caso se i personaggi della mia opera sono molto variegati per luogo di provenienza, età, situazioni esistenziali e persino ambito letterario (sono presenti riferimenti sia a personaggi storici, che del mondo della musica e di quello della letteratura fantasy).

Qual è stato il percorso che ti ha permesso di pubblicare il tuo libro?

Il percorso che ha portato alla pubblicazione di “Caro te, ti racconterò di quelli del “fino alla fine” è stato abbastanza peculiare in quanto essa è avvenuta tramite Bookabook, la prima casa editrice italiana ad operare tramite crowdfunding. Questo viaggio è cominciato a settembre del 2019 avendo come traguardo da raggiungere le 200 preordinazioni per poter ottenere la pubblicazione. Il lieto fine è giunto a Giugno 2020 con la pubblicazione del libro e il raggiungimento di 260 preordinazioni del libro.

Tuttavia, il progetto artistico non si è concluso con la semplice pubblicazione del libro, poiché nell’agosto 2020 è stato anche prodotto un booktrailer di “Caro te, ti racconterò di quelli del fino alla fine”: un’avventura che mi ha permesso di presentare il libro ai lettori sotto nuove sfaccettature attraverso la commistione di diverse arti come musica, arti visive e ovviamente letteratura.

Quali sono le difficoltà più grandi che hai incontrato (e che stai incontrando) nella promozione del tuo libro?

Sicuramente per un ragazzino di 18 anni può essere ostico il dover cercar di vendere un prodotto che materialmente ancora non esiste e che potrà giungere alla luce solamente tramite un iter abbastanza inusuale. Tuttavia, è stata una grande soddisfazione raggiungere e superare l’obiettivo necessarie delle preordinazioni per avere finalmente fra le mani l’opera concreta in carta ed inchiostro. Lo considero quasi un cammino collettivo in quanto non sarei mai riuscito a realizzare il mio sogno senza la fiducia che le persone hanno avuto in me e in un libro che potevano saggiare solamente attraverso le mie parole e le conferenze che ho tenuto.

Di fatti l’ostacolo più grande per la crescita del libro è stata la pandemia causata dalla diffusione del coronavirus. Infatti, il libro ha visto la luce in un periodo poco fortunato per interfacciarsi con il pubblico, a causa delle varie restrizioni che furono applicate negli anni successivi. Nonostante la stranezza della cosa, non è dunque un caso il fatto che io abbia potuto presentare il libro durante delle conferenze solamente quando il libro materialmente ancora non esisteva. Chissà se un giorno “Caro te, ti racconterò di quelli del “fino alla fine”” potrà finalmente guardarsi in faccia con il suo pubblico… 

Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nella filosofia?

Il Luigi che scrive adesso non è più l’autore di “Caro te, ti racconterò di quelli del “fino alla fine”. Quest’opera è stata scritta da altre mani, da altri pensieri, da altre esperienze, e dunque anche da altri riferimenti. Qualora volessi provare a scrivere questo libro daccapo, non verrebbe mai uguale all’originale. Non so quante cose cambierei a causa della mia crescita personale, del vivere un’altra fase della vita, ma di una cosa sono certo: alcuni passi non riuscirei a scrivergli dandogli la stessa bellezza che gli ho conferito originariamente, poiché frutto di sentimenti veri, di un credere con fervore in ciò che dicevo e che volevo condividere. Eppure, nonostante i tanti cambiamenti, forse è proprio nella scelta dei filosofi che ho inserito nell’opera che si mostra come il Luigi di quel tempo, ancora sedicenne, continui a vivere. Infatti, così come sono presenti ne “La lettera di un allievo”, Platone e Socrate allo stesso modo continuano ad essere presenti nella mia quotidianità. Socrate continua ad insegnarmi l’importanza del dialogo, l’umiltà con cui bisogna interfacciarsi con le persone e come la vergogna di sé possa essere un motore per il proprio miglioramento piuttosto che per la distruzione altrui. Invece, la mia vicinanza a Platone determina in modo significante il mio romantico di vedere la vita, il credere in qualcosa di bello, giusto e buono, anche se a volte non sembra che questi ideali facciano parte del nostro mondo. Ovviamente grazie all’esperienza e allo studio, la lista dei miei riferimenti si è estesa, portando in cima negli ultimi anni Ludwig Wittgenstein e con esso l’importanza del linguaggio, l’assenza di certezze assolute e l’esistenza di verità e principi solamente come cardini dei giochi linguistici a cui partecipano le forme di vita. In conclusione. a distanza di anni, grazie a Platone e Socrate, posso dire di aver la fortuna di non aver ancora chiuso quella famosa finestra che si trova tra il mondo dei ragazzi e quello degli adulti, solo che forse adesso sto cominciando a sporgermi dalla finestra non più con i piedi sul terreno dell’infanzia, bensì sul terreno dell’età adulta.   

Cosa pensi della tua generazione?

Nell’opera parlo spesso a nome di ragazzi e ragazze di una fascia d’età che trovo molto delicata: quella degli anni delle scuole superiori. Sono anni di cambiamenti individuali, che a volta affascinano e altre volte fanno intimoriscono. Consideravo palpabile il divario, l’incomprensione sorda, che distaccava gli adulti dai ragazzini. Per questo, fra i diversi intenti dell’opera, c’era quello di riuscire a parlare in alcune lettere come un adulto, servendomi così di diversi personaggi come Mozart, Don Marco, Wholff, Platone, ecc., ed altre volte come un ragazzo, spesso firmando quelle lettere con il mio nome. Cercavo di far comunicare quei due mondi, in tal modo il lettore avrebbe potuto trovare nell’opera sia sé stesso che il famigerato “altro”. È un libro che si propone come dizionario di due “popoli” che parlano due lingue diverse, ma che non sono poi così lontani; a volte a dividerli c’è solo un muro, ed è giusto che stia lì poiché devono rimanere separati, ma almeno per capirsi, sarebbe utile mettere una finestra.

Ma in fin dei conti, cosa volevo comunicare a questo pubblico così eterogeneo? Perché sul palco delle mie pagine ci sono maschere così tanto differenti fra loro? Cosa ci fanno nello stesso spettacolo il macellaio romano Giulio, Robin Williams, Re Artù e don Marco?  Un’orchestra è composta da molteplici strumenti differenti, sebbene questi siano tutti partecipi della medesima sinfonia a cui il direttore ha voluto dare questa volta un nome singolare: speranza. Quelli del “fino alla fine” sono proprio coloro che decidono di non mollare mai, di crederci fino in fondo, di cambiare le cose se lo vogliono, di prendersele se le bramano e di amarle anche se le temono. Tuttavia, la cosa più difficile rimane proprio il comprendere quando la famosa “fine” sia già giunta o meno. Sono i personaggi come don Marco e la scrittrice Carol che ci insegnano come nella squadra di quelli del “fino alla fine” ci si possa fermare e talvolta far da guida agli altri nella realizzazione dei loro sogni ed ideali. Ed è così che sul finale l’opera diventa un invito a tutti quanti di far parte di questo team.

Oggi, invece, cosa vedo nella mia generazione? Vedo grandi polarità. Vedo grandi gruppi molto diversi fra loro e sento quasi la mancanza di una fascia mista, che abbia i migliori tratti di entrambe le parti e che possa ulteriormente arricchire la diversità di vedute, ideali e bisogni. È difficile poter dire molto altro senza cadere in generalizzazioni becere. Quello che mi sento di aggiungere è che vorrei non si perdesse la cultura del sacrificio, in una società spesso invasa da annunci di “scorciatoie” di vario genere. Auguro a questa generazione di avere fame, di non accontentarsi, di non farsi imporre modelli di vita dagli altri, bensì di trovare e sperimentare quale possa essere il proprio percorso realizzativo. Inoltre, invito a tutte le generazioni di portare pazienza: ci sono stati grandi cambiamenti e progressi valoriali in davvero poco tempo (dopo probabilmente un lungo tempo di stasi); ciò ha provocato grandi spaccature ed io invito alla pazienza, dare il tempo di adattarsi al cambiamento, senza tuttavia mai smettere di guardare avanti.

Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada? 

Io mi ritengo ancora nel vivo del percorso accademico e probabilmente una volta terminato avrò un parere diverso rispetto a quello attuale. Ad esempio, per quanto riguarda gli sbocchi lavorativi posso solo porre delle congetture o riportare esperienze altrui che nella maggior parte dei casi sono spesso contrastanti. Nonostante ciò, penso sia doveroso dire che, per come tutte le facoltà universitarie, deve essere una scelta d’amore: se la filosofia è la tua vocazione, se vuoi che Nietzsche, Rousseau, Eraclito, Hobbes ed i loro illustri colleghi siano i tuoi compagni di viaggio, le voci che ti riscalderanno nei momenti tristi, gli scritti che ti abbracceranno quando sarai solo, i mormorii che ti accompagneranno per farti godere l’esistenza nella sua pienezza, allora non esitare. Se vuoi andare oltre le apparenze, se sei disponibile all’ascolto, se sei aperto alla caduta di ogni tua certezza o convinzione, se hai l’entusiasmo di costruire e ricostruire da queste macerie, allora cimentati in questo lungo viaggio e non porti domande sulla destinazione. 

Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?

Credo che in futuro potremo assistere ad una sorta di conseguenza di un meccanismo elastico: questa grande spinta verso il progresso, l’artificialità, il materialismo economico, ci faranno giungere ad una grande esigenza di sentimenti, di emozioni, di umanità. Spero solo che non avvenga in una maniera quasi patologica come una sorta di fuga disperata dall’apatia.

Inoltre, grazie alla velocità con cui la nostra società sta cambiando, tornando alla spaccatura di cui parlavo precedentemente, penso che la filosofia tornerà a giocare un ruolo importante, laddove una macchina non potrà mai dire cos’è il giusto o lo sbagliato, il bene o il male.

Per quanto riguarda la terza idea… ho già tentato troppo la fortuna ponendo due previsioni, la terza la userò per negare le due precedenti ed evitare in futuro di realizzare di aver avuto torto. 

Solitamente dove scrivi?

Solitamente scrivo i miei pensieri su un’agendina, ma mi è capitato spesso di utilizzare “fogli di fortuna” per appuntare i pensieri o le poesie del momento. A tal proposito, vorrei raccontare un aneddoto. Le prime lettere del libro ho cominciate a scriverle mentre ero in vacanza al mare, dove solitamente non avevo fogli o quaderni con me. Inoltre, “all’ispirazione non si comanda” e fu così che mi ritrovai a scrivere di getto ad orari insoliti, specialmente la notte. Non avendo fogli in casa, di notte andavo alla ricerca di fogli di Scottecs oppure fogli di riviste con il maggior spazio bianco possibile, ed è lì che sono nate le prime lettere dell’epistolario. Tutt’oggi conservo con me tutti i fogli originali su cui ho scritto le lettere, affinché possa ricordarmi che anche dal nulla può nascere qualcosa di significativo e che, beh, in fin dei conti a quanto pare è più importante il contenuto della forma…  

Ultima domanda. Una domanda di rito: stai già lavorando al prossimo libro?

Avevo iniziato anni fa a scrivere un altro libro, ma purtroppo la carriera accademica ha assorbito la maggior parte del mio tempo e l’ispirazione è andata perdendosi. Continuo a scrivere qualche riflessione, qualche poesia, talvolta mi cimento a farlo anche in francese, lingua che considero molto elegante. Il libro che avevo in mente doveva essere il rifacimento di una nota storia di fantasia ma in una chiave differente, attraverso un diario di psicanalisi. Giungerai mai alla luce? Verrà sorpassato da altre idee parallele? Chi può dirlo? D’altrone, all’ispirazione non si comanda.