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Lo Snodo :: Un movimento che si chiama Futurismo.

di Enrico Esposito
 
LO SNODO :: 31/03/2009 :: A dire la verità ci si aspettava qualcosa di più. Il centenario del futurismo si è risolto in Calabria con un convegno presieduto dal sindaco di Reggio, Giuseppe Scopelliti, e dal ministro per le politiche giovanili, Giorgia Meloni. Non sono mancati i richiami all’attualità del movimento creato da Filippo Tommaso Marinetti. Ma si è andati oltre. Lo stesso sindaco si è avventurato addirittura in giudizi storico – letterari, che non si sapeva fossero prerogativa di un primo cittadino.

Ma tant’é. Vediamo che cosa ha detto. “Il futurismo é stata l’unica avanguardia degna di tale nome, un’avanguardia rivoluzionaria”. Più o meno questo il leit motiv dell’incontro nella città dello Stretto. Il ministro ha aggiunto di suo che il futurismo ha lasciato tracce indelebili nella cultura italiana nel primo trentennio del Novecento. E giù con i riferimenti alla cultura nazionalista e spiritualista dell’epoca, con l’immancabile citazione di Julius Evola, teorico ti tutto ai suoi tempi, sempre di moda negli anni Trenta e immancabile nell’esaltazione della razza e delle leggi razziali del 1938, appena nove anni dopo l’apparizione del manifesto futurista su Le Figaro di Parigi. C’erano e ci sono motivi per celebrare gli artisti calabresi che al futurismo aderirono, a incominciare da Boccioni, e per ricordare le rassegne che per tutti gli anni Trenta si sono susseguite a Reggio, così come era ed è opportuno ricordare il non trascurabile contributo dato dai calabresi allo stesso teatro futurista. Ma era ed è anche opportuno che il futurismo è stato un magma in cui è tutt’ora difficile individuare una matrice comune che possa funzionare da collante identitario di quel movimento. Che si trattasse di un movimento rivoluzionario l’aveva pensatoi persino Antonio Gramsci, ma di che rivoluzione si trattava era incerto agli inizi. Ha provveduto a farlo sapere lo stesso Marinetti, quando ha aderito al partito fascista e ha indossato la feluca di accademico, il massimo riconoscimento per un uomo d’ordine. L’incendiario era diventato pompiere. Ma cosa si voleva incendiare? Tutto e niente, e niente s’è rivelato alla fine il movimento che voleva sbriciolare la Nike di Samotracia e distruggere la lingua italiana. Quello che deve durare nella storia dura, al di là della volontà eversiva di qualche avventuriero della cultura. Può essere di moda per qualche tempo, ma poi la tradizione prevale. E prevale perché la tradizione è in se stessa un concetto positivo, in quanto si mantiene ciò che vale e si perde il superfluo e il vacuo. Lo stesso destino del futurismo. Si mantiene tuttora, certo, ma in seno agli eredi evoliani di una destra che s’ammanta di ammodernamenti solo per celare la scorza dura di radici che è sempre più difficile camuffare. Ricordiamo dunque il futurismo, ma non dimentichiamo che è stato il più rumoroso e audace tentativo, riuscito poi con il fascismo, di opporsi a tutta la cultura anti del secolo scorso: antidemocratica, antiparlamentare, antindustriale e antioperaia, e così continuando. Tutto questo merita di essere considerato rivoluzionario? Una volta si sarebbe parlato di reazione, punto e basta. Ma oggi, con il rovesciamento dei significati e dei valori, indotto da un’orchestrata campagna massmediatica, accade anche questo. Il reazionario si chiama rivoluzionario. In questo il futurismo è riuscito.