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Tortora :: Centocinquant'anni fa Garibaldi conquistava il Regno delle Due Sicilie.

Il Generale fu a Tortora e a Sapri il 3 settembre 1860

TORTORA :: 03/09/2010 :: La breve permanenza di Giuseppe Garibaldi a Tortora fu così rievocata il 9 luglio 1882 da Pietro Lomonaco Melazzi in un discorso tenuto alla Società Operaia «Silvio Curatolo» di Aieta: «Il 3 settembre 1860 il Comune vicino di Tortora ebbe l’onore e il piacere di alloggiarlo fra le sue mura; anzi dimorò per varie ore in casa di mio fratello Biagio ch’è domiciliato e residente a Tortora, ove prese una refezione insieme ai Generali Bixio, Cosenz, Medici e Bertrani, soli, senza niuna forza».

L’evento è confermato da un telegramma che l’Eroe dei Due Mondi inviò il 7 febbraio 1875 allo stesso don Biagio Lomonaco Melazzi: «Caro Melazzi, Grazie per la vostra del 1° e per il gentile ricordo. Salutatemi il fratello  …Vostro G. Garibaldi».

La sosta a Tortora fu imprevista e organizzata in tutta fretta.

Il Generale, reduce dalla conquista della Sicilia e della Calabria, era diretto a Napoli in vista dello scontro decisivo con l’esercito di Francesco II, e voleva arrivarci nel più breve tempo possibile per non dar tempo al nemico di organizzarsi.

Ma la sera di domenica 2 settembre 1860, mentre si trovava a Rotonda, ospite della famiglia Fasanelli, seppe che i circa 3000 soldati borbonici del generale Caldarelli, sia pure in ritirata, erano attestati presso Castelluccio e rischiavano di rallentare la sua marcia.

Decise perciò di spostarsi sulla cos
ta tirrenica calabrese per poi recarsi via mare a Sapri, dove c’erano ad attenderlo i 1500 uomini delle brigate Milano, Spinazzi e Puppi che, provenienti da Paola, erano appena sbarcati nella cittadina campana sotto la guida del generale Türr.

L’intenzione di Garibaldi era di dirottarli sul passo del Fortino, non lontano da Lagonegro, per sbarrare la strada alle truppe del Caldarelli e poter riprendere con maggiore sicurezza il cammino verso la capitale dell’ormai traballante Regno delle Due Sicilie.

In un primo momento aveva pensato di raggiungere il Tirreno attraverso la valle del Mercure-Lao, ma poi cambiò idea e vi giunse, per vie interne, passando per il territorio di Tortora.

Probabilmente, la variazione di programma gli fu suggerita da don Bonaventura De Rinaldis, di Rotonda, la cui figlia Filomena aveva sposato il tortorese don Francesco Maceri. Ed è proprio al padre di quest’ultimo, il sindaco don Biagio Maceri, che don Bonaventura inviò un messaggio segreto per avvertilo dell’imminente arrivo dell’illustre ospite.

Garibaldi, con alcuni uomini al seguito, forse sei, lasciò Rotonda in piena notte e, seguendo le indicazione del giovane pastore Paolo Maceri, incontrato sull’altipiano del Carro, giunse a Tortora intorno alle 10,30 del mattino seguente.

Ad accoglierlo, all’ingresso del paese, c’erano don Biagio Maceri, nell’occasione nominato Capitano della guardia nazionale, e l’intera popolazione in festa, opportunamente “indottrinata” dai notabili locali, in parte massoni, che, un po’ perché credevano nell’ideale unitario e, forse, molto di più per tutelare i propri interessi, erano passati in massa dalla parte del vincitore. Il folto corteo raggiunse quindi la casa di don Biagio Lomonaco Melazzi, genero di don Biagio Maceri per averne sposato la figlia Teresa.

L’unica eccezione fu quella del notaio Francesco Marsiglia che, fedele al regime borbonico, si rifiutò di rendere omaggio all’Eroe e che per questo motivo rischiò di essere passato per le armi. L’ordine di fucilazione fu però strappato dallo stesso Garibaldi, il quale, per intercessione del sacerdote don Mansueto Perrelli, optò per la presa in ostaggio del giovane figlio del notaio, Domenico. Questi, portato con sé a cavallo dal Medici, fu poi liberato intorno alle ore 14,00, ovvero nel momento in cui il gruppo di garibaldini, lasciata Tortora, si imbarcò per Sapri all’Agnola di Castrocucco, in territorio di Maratea.

Prima della partenza, il Generale ebbe modo di colloquiare affabilmente con alcuni patrioti che lo avevano raggiunto sulla spiaggia. Tra questi vi erano Filippo La Gioia di Aieta e sua madre Angela Candia, la quale non mancò di offrire tutti i suoi figli per il riscatto della Patria. Garibaldi, commosso dalle nobili parole della donna, la colmò di baci e le disse: «Se tutte le donne d’Italia fossero simili a voi, l’Italia sarebbe libera da più secoli».

Il Generale giunse a Sapri nella serata del 3 settembre e poté quindi riprendere la sua vittoriosa marcia verso Napoli, facilitata dal fatto che, nel frattempo, le tanto temute truppe borboniche del Caldarelli si erano disperse. Si erano infatti rifiutate di seguire il loro comandante nella scelta, maturata nella notte, di convertirsi alla causa unitaria o, secondo un diverso punto di vista, di “vendersi” all’ invasore.

Fonti: A. FULCO, Memorie storiche di Tortora, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002 (ristampa della prima edizione del 1960), pp. 129-134; MINISTERO DELLA GUERRA – STATO MAGGIORE DEL R. ESERCITO – UFFICIO STORICO, La campagna di Garibaldi nell’Italia meridionale (1860), Libreria dello Stato, Roma 1928; F. APICELLA, Garibaldi, la consegna dell’Italia meridionale a Vittorio Emanuele, articolo pubblicato il 29 maggio 2007 sul sito internet www.paginedidifesa.it; A. PEPE, I sei garibaldini che passarono da Tortora assieme col Generale il 3 settembre 1860, in “Cronaca di Calabria” del 2 ottobre 1960; F. LA GIOIA, L’Italia redenta sotto la dinastia dei Savoia, Lauria 1891, pp. 6-7.

P.S. Il sedicenne Carlo Mazzei di Maratea, nipote acquisito di don Biagio Maceri, raggiunse i garibaldini a Lagonegro e morì in battaglia il 1° ottobre 1860 presso Aversa. Era anche chi ci credeva davvero!

Biagio Moliterni