“Una sinfonia pacifista” di Enrico Esposito
di Enrico Esposito
Così ha definito la settima, in la maggiore, di Beethoven l’inimitabile Ezio Bosso. Rai 3 gli ha dedicato la serata del venerdì, a poche ore dalla sua immatura scomparsa, dopo aver a lungo combattuto con virile coraggio la sua malattia neurovegetativa.
Un omaggio doverosa e meritato a chi ha affrontato sofferenze inenarrabili con il sorriso disarmante che a lungo ricorderemo. E nel programma era compresa l’eccellente direzione della settima sinfonia di Beethoven che molti giudicano la più bella tra le nove che il musicista di Bonn ha donato all’umanità, un patrimonio inestimabile. Sono state diverse le definizioni di quest’opera, non tutte a dire il vero positive. In effetti sono più di uno i temi e i motivi esistenziali che la contraddistinguono, ma Ezio Bosso ha preferito considerare il contesto in cui è stata concepita.
Siamo ai primi di dicembre del 1813, poco più di un mese dopo la sanguinosa battaglia di Hanau del 30-31 ottobre. Qui austriaci e bavaresi hanno subito una dura sconfitta ad opera di Napoleone, che dopo la disfatta di Lipsia guidava la ritirata verso la Francia. Migliaia e migliaia di morti insanguinarono quella verde pianura, migliaia di giovani tornarono mutilati o gravemente feriti. Beethoven non rimase insensibile a tale immane disastro e nella sinfonia che presentò e diresse nell’aula magna dell’Università di Vienna, l’8 dicembre, cantò in note sublimi il suo grande desiderio di pace.
Ezio Bosso ha detto bene, l’aspirazione alla pace tiene unite le diverse parti dell’opera, dall’allegretto iniziale allo scherzo del terzo tempo e al gran finale. Solo che la prima esecuzione non trovò l’accoglienza e il gradimento del pubblico. Nello stesso concerto erano state presentate altre due composizioni che celebravano i successi militari inglesi sull’esercito di Napoleone, e cioè la Vittoria di Wellington e La battaglia di Vittoria, due musiche marziali di un certo pregio, composte da Dussek e Pleyel. Gli applausi furono riservati quasi tutti a queste due opere: troppo recente era l’oltraggio subito ad Hanau e le ferite di guerra erano ancora aperte. Ma ci fu chi notò il valore dell’opera a fare da contrappeso ad altri che la stroncarono come una sinfonia che solo un ubriaco poteva scrivere. Intervenne con la sua autorevolezza Richard Wagner che la definì l’apoteosi della danza.
Da quel momento l’opera è conosciuta in tutto il mondo come sinfonia della danza. Questo aspetto non è stato certo trascurato da Bosso nella sua interpretazione, anzi è stato esaltato nei vari momenti, individuati in epoca romantica, delle “nozze villiche” articolate in marce nuziali, danze, feste e orgia. Apollineo e dionisiaco si fondono con esiti incomparabili. Una sinfonia che si offre all’ascolto con una varietà di temi musicali affidati anche alla insopprimibile esigenza di Beethoven di trovare nuove e non ancora sperimentate vie espressive. E sorprende come Bosso riprenda le movenze di Beethoven direttore, che sul podio si muoveva di continuo, portando le braccia al petto, per sottolineare i piani più suggestivi, saltellasse e addirittura urlasse di gioia alla perfetta esecuzione degli orchestrali, tutti di grande valore.
E così faceva Ezio Bosso, per il quale la musica è stata un sogno d’evasione e nello stesso tempo di attaccamento alla vita. Ascoltarla in questi giorni di sofferenza, la Settima alimenta il nostro desiderio di riprendere a vivere nella gioia e magari con il sorriso irresistibile del maestro che così presto ci è stato sottratto.