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“Utile e onesto” di Enrico Esposito

di Enrico Esposito

L’utile è da anteporre all’onesto? La questione è antica quanto il mondo già Cicerone, che sui doveri ha scritto tanto, insegnava che non sempre ciò che è utile è anche onesto. Per lui e i suoi contemporanei poi onesto era tutto ciò che potesse conferire onore, cioè decoro, a chi lo realizzava. Onestà e decoro dovevano anzi essere alla base dell’educazione. Altri tempi certo, ma avere puntato un po’ dovunque su quanto conviene e può essere utile, ad arricchire o ad avere potere, ha creato danni incalcolabili.

L’utile ad ogni costo è la faccia non tanto nascosta del capitalismo antico e recente, tutto quello che per essere brevi si chiama oggi neoliberismo. Il profitto, comunque ottenuto, è da considerare il fine primario dell’agire umano. Si creò addirittura una corrente di pensiero, l’utilitarismo, che ha dato da riflettere a tanti filosofi non solo europei, da Jeremy Bentham a Genry Sidgwick e altri ancora. Ovviamente si ponevano problemi etici non secondari: va bene perseguire l’utile per la felicità degli uomini, ma fino a che punto farlo? La risposta non può che essere quella secondo la quale l’utile non può fondarsi nel creare infelicità ad altri.

Ma è un discorso che stenta a trovare consenso. Max Weber ha indagato da par suo lo spirito capitalistico e il protestantesimo, colorando i suoi studi di tinte etiche indiscutibili, tra le quali, per fare un solo esempio, mantenere la parola data negli affari. Ma in seguito il discorso è cambiato, fino a fare dell’utile e del profitto la solo guida di ogni azione, a prescindere dal suo valore etico. Lo faccio, perché mi pagano è il leit motiv delle azioni umane, a qualsiasi latitudine, con un corollario assai frequente: che male c’è, lo fanno tutti. E allora via ai comportamenti deprecabili ma giustificati dal perseguimento dell’utile e del profitto. Che poi non vi si rintracci niente di onesto, resta preoccupazione dei soliti ingenui, che vorrebbero il mondo dipinto tutto di rosa.

Invano Martha Nussbaum ha ammonito a non pensare solo al profitto nell’educazione come in tutti gli altri campi dell’azione umana. La domanda ricorrente è sempre la stessa: a che mi serve studiare, che utile ne posso ricavarne? Il disinteresse della ricerca scientifica e culturale è riguardato come chimera buonista, lontana dalla realtà. E viene da citare ancora una volta Cicerone quando raccomandava l’abstinentia, cioè il tenersi lontani da un utile che non fosse anche onesto. A questo punto c’è da chiedersi a che cosa pensare in questo momento di grave crisi al riguardo. A chi scrive capita in questi giorni di chiedersi dov’è la ratio della richiesta della Fiat o come si chiama adesso di un prestito garantito dallo Stato all’80% e poi annunciare che sarà distribuito un dividendo agli azionisti per un ammontare pari o vicino al prestito richiesto.

E’ senza dubbio utile una tale scelta, ma è anche onesta? Specie dopo che le aziende sono state trasferite nell’olandese paradiso fiscale e non contribuiscono all’aumento delle entrate nel bilancio italiano. Nello stesso tempo, la diversificazione fiscale in Europa, per cui in alcuni Stati membri le tasse sono più basse, rende legittima la pretesa della Fiat o come si chiama oggi, ma è anche onesta, cioè decorosa? Perché non solo e non sempre l’utile è anche onesto, ma neanche ciò che è giusto è sempre eticamente accettabile.